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Abbacchio scottadito

abbacchio scottadito

L’abbacchio scottadito è uno dei tanti piatti tipici della cucina romanesca realizzato con l’agnello; ma fate attenzione quando a Roma si parla di abbacchio non ci si riferisce semplicemente all’agnello. Abbacchio da «abbacchiare», che sta per «abbattere», per macellazione. A Roma, l’abbacchio non è un agnello qualunque; infatti come scrive il Chiappini, nel suo Vocabolario romanesco, “si chiama abbacchio il figlio della pecora ancora lattante o da poco tempo slattato; agnello, il figlio della pecora presso a raggiungere un anno di età e già due volte tosato“.

L’agnello era un animale familiare per i romani; era considerato quasi parte integrante del paesaggio romano-laziale. Era facile infatti imbattersi in greggi al pascolo nella Campagna romana sotto gli archi degli antichi acquedotti.  La bontà degli abbacchi romani non era dato solo dall’età dell’agnello ma anche dalle numerose regole, che un tempo, i pastori si imponevano. A cominciare dai tipi di pascolo (permanenti e temporanei), e dalle erbe che vi crescevano (prati naturali, artificiali, e marcite). Il consumo di carne di agnello a Roma era enorme. Nel 1629, durante la cosiddetta «agnellatura», nel periodo da Pasqua a giugno furono consumati a Roma 165 mila agnelli su una popolazione che toccava le 115 mila anime.

L’abbacchio scottadito è una ricetta pasquale tipica della tradizione romana ma oggi è cucinato e mangiato in tutta Italia ed ha subito delle variazioni infatti c’è chi lo cucina al forno.


Dettagli

Porzioni

4 persone

Preparazione

10 minuti

Cottura

10 minuti

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Ingredienti

  • 500 g di abbacchio

  • q.b. sale fino

  • q.b olio etra vergini d’oliva

  • 1 rametto di rosmarino

  • q.b. pepe

Come preparare l’Abbacchio scottadito

preparazione

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Braciolette d’abbacchio a scottadeto

Agguanta le braciole de l’abbacchio, schiaccia la ciccia come ‘na frittella

e attento all’osso, quello è ‘na stampella che se la stacchi sorte un bell’ inguacchio.

Quanno che cià la forma d’un pennacchio, co ‘ sale, pepe e ojo pe ‘mantella,

attizzi er fôco de la carbonella e si te scotti non sei bôno a un cacchio.

Ce piazzi ‘na graticola, e lì sopra

ce svorti la braciola, ma stà attento, l’ojo che smamma t’arovina l’opra!

Appena è tutta d’oro in ogni parte, dovressi divoralla su l’istante.

È come si t’aggusti un ‘opra d’arte.

Augusto Bellini

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